martedì 27 marzo 2012

Alessandra e il Blenderosaurus KitchenAid

“I don’t care what you call it, it’s the best kitchen aid I’ve ever had!”

Ommamma! Ma allora è vero?! Dovrò testare un frullatore KitchenAid! Salti di gioia scomposti: avere un KitchenAid è un sogno vero e proprio, l’ho ammirato in vari colori e sfumature in bella mostra nelle cucine di vetrine, riviste, blog e siti d’arredamento e ora sarà nella MIA :-)

Appena ho tra le mani il mio blender (quanto mi piace chiamarlo all’inglese!), gli trovo un posticino dove possa spiccare. A toglierlo dalla scatola faccio fatica: è pesante ben 4,5 Kg e alto più di 38 cm!
La base è in metallo pressofuso e la caraffa in vetro temprato (per resistere meglio!), il collare di blocco in plastica con le lame in acciaio inossidabile (per miscelare meglio!), il coperchio in gomma con tappo dosatore trasparente (per aderire meglio!). E, gran cosa, il pannello comandi è integrato nella base senza fessure né scanalature (per pulirlo meglio!).


Il motore è potente, trita addirittura il ghiaccio e gli alimenti congelati, ma si comporta come un diesel: lento in partenza e rapido e costante in accelerazione, per miscelare i cibi perfettamente e in maniera omogenea. Sulla confezione, una ricostruzione grafica molto illuminante, spiega come: le lame, disposte due in su e due in giù a quattro diverse altezze – mai visto prima – scatenano ben due movimenti opposti, un vortice centrale che sale stretto e in senso antiorario, e uno esterno che sale lasco in senso orario fino in cima, per poi ricadere verso il centro. Sono molto colpita: altro che piccolo elettrodomestico! Io, nota non-chef che fino ad ora ha solo usato una volta sì e cento no un frullatore a immersione, credo che il nome Blenderosaurus gli sia dovuto ;-)

Do un’occhiata veloce al sito internet e scopro come l’azienda sia profondamente legata al mondo femminile: è una donna, Josephine Garis Cochrane, a brevettare la prima lavastoviglie nel 1886, adattandola poi all’uso domestico; è sempre una donna a inventare il nome del marchio nel 1919, quando, testando la prima impastatrice elettronica, esclamò: “Non m’importa come lo chiamate, è il miglior aiuto in cucina che io abbia mai avuto!”; è ancora una donna, la designer di fama mondiale Egmont Arens, a progettare nel 1936 i modelli più eleganti, tra cui il mitico K (a cui s’ispira l’impastatrice di oggi); ed è alle donne che si rivolge l’azienda dal 2001 con l’edizione speciale color rosa pallido dei suoi piccoli elettrodomestici, devolvendo parte del ricavato a fondazioni e associazioni impegnate nella lotta contro il cancro al seno.

Mi piace, e mi piace come KitchenAid descrive se stessa, un’impresa che “si spinge oltre l’unione perfetta tra design e tecnologia, incarnando un’arte di vivere fatta di piacere, condivisione e, soprattutto, passione”.
Se Andrea apprezza l’aspetto tecnologico, io ne ammiro la forma: effettivamente, conosco il blender KitchenAid solo come oggetto di design e non come strumento culinario. Ora che ci penso, la cosa mi preoccupa un po’, perché Andrea, ottimo cuoco, persegue la sua tradizione gastronomica veneto-emiliana del “fatto a mano” e storce il naso davanti a tutto ciò che possiede un cavo elettrico; e io, be’, io sono una frana in cucina! Forse, testandolo, è la volta buona che incomincio ad apprezzare quell’aspetto della vita che passa attraverso piatti, pentole e frullatori :-)


2 commenti:

  1. Molto interessante! Cosa hai preparato?

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    1. ho tritato del gran ghiaccio, per ora! e i pancakes domenicali, ma devo ancora prenderci la mano ;-)

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